Intervista a Michele Bernetti di Umani Ronchi

di Francesco Annibali 25/02/21
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Michele Bernetti Umani Ronchi
Prima di entrare da vicino nel mondo del Cùmaro di Umani Ronchi, con la verticale che leggerete domani, abbiamo scambiato quattro chiacchiere con il titolare dell’azienda.

Non è più prematuro parlare di differenze tra le macrozone di coltivazione del vitigno montepulciano, che viene erroneamente “letto” ancora come un blocco monolitico, quando tra Conero, Loreto Aprutino, Piana di Ofena, eccetera, ci sono differenze organolettiche notevoli.

Il Conero, ad esempio, promontorio marchigiano calcareo a strapiombo sul mare, a un passo dal capoluogo regionale Ancona, costituisce il margine settentrionale di maturazione del montepulciano. Qui il vitigno sfoggia un tannino più deciso rispetto al Piceno e all’Abruzzo, senza rinunciare alla proverbiale concentrazione, e il risultato è una maggiore sensazione di austerità. Un tannino che se nelle annate fredde (a dire il vero sempre più rare) fatica ad omologarsi e soprattutto “sciogliersi” nella struttura, riesce comunque a dare ai vini un portamento unico.

Unico è anche il profilo olfattivo dei vini del Conero, che oltre alle note di marasca presentano con l’affinamento un carattere balsamico/selvatico (il balsamico in particolare nel sud e nell’ovest della denominazione, ovvero Osimo e Numana, dove i terreni sono più argillosi e le esposizioni più aperte), unito a note di maggiorana e noce moscata.

È da qui che provengono, nelle annate e nelle mani giuste, i rossi marchigiani di maggiore potenziale. Nonostante un potenziale organolettico notevole e un’altrettanto notevole bellezza paesaggistica, il Conero vinicolo è in crisi identitaria da anni, problema che il covid di certo ha acuito. Un peccato, perché quando un appassionato prende in mano un bicchiere di un grande Conero bevuto al momento giusto (almeno 10 anni dalla vendemmia), resta sempre di stucco. Come con il Cúmaro di Umani Ronchi, faro qualitativo regionale guidata da Michele Bernetti.

DoctorWine: Michele dicci qualcosa su di te.

Michele Bernetti: pur avendo un percorso professionale quasi obbligato, essendo la nostra azienda di proprietà familiare, mi ritengo di essere stato fortunato a trovarmi immerso in questo mondo del vino fin da quando ero piccolo e facevo i primi assaggi a base di acqua e vino! Scherzi a parte, ho seguito le orme di mio padre Massimo appena dopo la laurea in Economia, prima con una esperienza di alcuni mesi di lavoro e vendita presso il nostro importatore inglese, e poi dedicandomi full time alla Umani Ronchi. Nei primi anni l’impegno è stato esclusivo sul lato commerciale, successivamente ho seguito sempre più tutti gli aspetti, da quelli più propriamente produttivi alla gestione generale.

DW: Umani Ronchi è una garanzia da almeno 30 anni.

MB: può suonare superba, ma oggi credo che Umani Ronchi sia proprio una gran bella cantina! Negli ultimi anni abbiamo affinato alcuni dettagli in tutti i reparti, in campagna, in cantina, nel marketing, vendite ecc… e ci troviamo ad essere piuttosto “in palla”. È un percorso importante che va anche a rafforzare una difficilissima sintesi che è quella delle cantine di una certa dimensione: essere bravi e credibili nei vini a tiratura ridotta (che sono approcciati con la stessa filosofia di una cantina artigiana o di ridotte dimensioni) ed esserlo anche con vini di maggior volume dove comunque la coerenza territoriale e stilistica deve essere mantenuta. Una sintesi difficile e delicata nel nostro mondo, il diavolo e l’acqua santa, in pratica…

DW: Sembra incredibile, ma il Conero, pur essendo con ogni probabilità la maggiore zona marchigiana per i rossi, continua a rimanere in penombra. A tuo parere quali sono le cause?

MB: non si può non essere d’accordo sul rimarcare la situazione di stallo della denominazione, d’altra parte certificata anche dai numeri. Non siamo riusciti a tradurre l’opportunità di avere una piccola denominazione, non inflazionabile, collocata in un territorio particolare e meraviglioso, che potrebbe raccontare tantissime cose di un vino prodotto con un vitigno peraltro tanto generoso come il montepulciano. La denominazione si è guardata molto poco fuori e troppo dentro, a mio parere; il confronto e la capacità critica sono fondamentali per lo sviluppo di qualunque progetto, e credo sia mancato proprio questo. La spada per l’incoronazione non te la mettono sulla spalla per meriti generici, ma per veri meriti conquistati sul campo. Noi come Umani Ronchi siamo appena partiti con un nostro progetto molto ampio, teso proprio a rimarcare la particolarità di questo piccolo cru interno alla grande area del montepulciano, nordico, prossimo al mare e con un territorio meraviglioso da raccontare, dal quale si ottengono vini eleganti e di classe; non potrebbe essere un piccolo esempio paragonabile all’Hermitage nella grande area del Rodano?

DW: paradossalmente l’istituzione della docg Conero Riserva sembra non aver aiutato, anzi. È possibile che il disciplinare avrebbe fatto meglio a inserire la possibilità di usare vitigni meno austeri del sangiovese accanto al montepulciano?

MB: questa è una domanda molto molto interessante, ma che alcuni anni fa ti sarebbe però costata una scomunica! Sai che il tema dei vitigni alloctoni è molto dibattuto – volendo usare un eufemismo. Anche noi crediamo che il sangiovese non offra grandi possibilità quando, dalle nostre parti, si volesse farne un vino di grande qualità; terreni profondi, clima fresco e più umido, cloni probabilmente sbagliati per la zona, insomma difficile tirarne fuori qualcosa di super. Tanto è vero che pochissimi produttori della zona lo utilizzano nei prodotti di fascia alta, almeno a leggere le schede tecniche. È però proprio di queste settimane una riflessione interna al consorzio che sta proprio valutando l’opportunità di allargare il ventaglio dei vitigni utilizzabili assieme al sangiovese, proprio nella stessa massima proporzione del 15% attuale.

  • A domani, per la conclusione dell'intervista con Michele Bernetti e la degustazione verticale del Cùmaro, Conero Riserva Docg.
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