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La grandezza dei vini semplici
Mi è venuto in mente di scrivere un pezzo di questo genere assaggiando in redazione un Prosecco. Non un Prosecco qualsiasi ma il Valdobbiadene Prosecco Superiore Rustico di Nino Franco, prodotto da Primo Franco, che a mio sommesso parere è uno dei più grandi interpreti di questa tipologia. Tanto che quelli di Wine Spectator lo hanno invitato, primo fra i “prosecchisti”, alla Wine Experience di New York.
Certo, lui fa il Grave di Stecca, che è un fuoriclasse assoluto, poi Nodi, Rive di San Floriano, e questo, il Rustico, è il quarto della sua gamma, e per la prima volta Valdobbiadene Prosecco Superiore, perché fino all’anno scorso non aveva la Docg. Sarà perché fa caldo, sarà perché costa dieci euro sullo scaffale di un’enoteca e io non sono così ricco da permettermi grandi Champagne, ma a me è sembrato delizioso e chi era a lavorare con me in ufficio lo ha trovato buonissimo.
È un vino semplice, ha i suoi profumi precisi, con il frutto che prevale sulle note fermentative, come dovrebbe essere sempre per un metodo Charmat, sta di fatto che la bottiglia è finita in un attimo. Non solo perché la bevibilità era deliziosa, quasi irresistibile, ma perché, lavorando, non dovevamo pensare troppo alle complessità e ai retroscena del vino che stavamo bevendo.
È stato il trionfo della semplicità, non banale, non eccessivamente “enologica”, un’espressione di profumi tipici, riconoscibili, e di sapori leggeri e piacevoli. Il contrario del “prosecchino”, neutro e senza evidenti qualità, che vuol dire indifferenziato, irriconoscibile. In questo caso invece erano evidenti gli elementi di immediata comprensibilità possibili da riconoscere anche da parte di chi non fosse un sussiegoso esperto.
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