Vini di un altro Planeta

di Daniele Cernilli 16/08/21
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Daniele Cernilli e Planeta
C’è ancora chi considera i Planeta quelli dall’approccio poco territoriale. Ebbene, basta assaggiare questi ultimi capolavori per vedere quanto sia assurdo questo preconcetto.

Essere vittime dei preconcetti non è un segno d’intelligenza. Semmai di paura e di voglia di avere confermate alcune posizioni di principio per un conservatorismo mal posto, ammantato di retorica. Mi venivano in mente queste considerazioni l’altro giorno mentre assaggiavo due vini di Planeta, azienda siciliana famosissima, che ha inizialmente avuto molto successo per il suo Chardonnay “barriccato”, che a molti piaceva e ad alcuni altri sembrava invece l’incarnazione di belzebù. “Grasso, pesante, legnoso”, erano le accuse che si facevano a quell’epoca, come se alcuni vini analoghi, magari californiani, magari di Marcassin o di Grghic, fossero poi così diversi. 

Poi Diego Planeta, deus ex machina della cantina di famiglia, oltre che della Settesoli di Menfi, aveva fatto arrivare dall’Australia Carlo Corino, enologo geniale e modernissimo per quell’epoca, a metà degli anni Novanta, e lo stile “internazionale” di quello Chardonnay ne fu una diretta conseguenza. 

Per anni, quando Alessio, Santi e Francesca hanno poi preso in mano l’azienda, molti hanno continuato a considerare i vini di Planeta come troppo market oriented, con troppo legno, troppi vitigni non autoctoni e via discorrendo. 

Dopo quello Chardonnay di vini ne hanno fatti molti altri, a Noto, a Vittoria, sull’Etna, e non soltanto nelle iniziali proprietà di Sambuca e di Menfi, in provincia di Agrigento. Alessio, in particolare, è diventato un winemaker di straordinario valore, ha ispirato e realizzato molti nuovi vini, dal Cometa al Santa Cecilia, dal Cerasuolo di Vittoria ai vini chiamati Eruzione 1614, che derivano da vigneti addirittura più elevati del limite consentito per l’Etna Doc. Fino al Didacus, l’evoluzione colta dello Chardonnay, dedicato proprio a Diego, suo zio, che da ragazzo aveva quel soprannome. 

E l’evoluzione stilistica dell’approccio viticolo ed enologico è stata incredibile

Ritorno ai due vini di cui vi parlavo all’inizio, il Riesling Eruzione 1614 e il Sicilia Menfi Chardonnay Didacus, entrambi del 2018, entrambi bianchi, entrambi da uve non tradizionali. Entrambi stratosferici però. Il primo è uno dei migliori Riesling italiani, mette insieme il ghiaccio e il fuoco, le note varietali di idrocarburo e i fiori di zagara, il nord e il sud. Il secondo è uno Chardonnay di classe internazionale, composto, elegante, con un affascinante tocco mediterraneo. Due vini eccezionali che solo chi avesse preconcetti potrebbe criticare. Peggio per lui.

Riesling Eruzione 1614 2018

98/100 - € 32

Da uve riesling renano coltivate sull’Etna a 850 metri di altitudine. Solo acciaio sui lieviti per 6 mesi. Giallo verdolino intenso. Il profilo olfattivo è originale e varietale al tempo stesso, con note di pompelmo, idrocarburo, ma anche zenzero e agrumi canditi. Il sapore è teso e scattante, ma anche di buon corpo, agile e profondo, di ottima persistenza. Sorprendente e straordinario. I ghiacciai del vulcano e il sole della Sicilia sembrano fondersi in questo vino.

Sicilia Menfi Chardonnay Didacus 2018

97/100 - € 65

Da uve chardonnay. Barrique per 10 mesi. Giallo paglia luminoso. Profilo olfattivo di grande articolazione, con sentori di susina gialla, pietra focaia, cedro, mandorla fresca e spezie dolci. Sapore composto e teso, molto elegante, salino, di ottimo corpo senza alcuna pesantezza. Un capolavoro.

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