Quali autoctoni per il futuro?

di Riccardo Viscardi 15/11/19
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autoctoni del futuro
Vitigni ancora poco noti ma che rispondono a precise caratteristiche, molto richieste: profumi intensi e caratterizzati, struttura non ridondante, bevibilità.

Viviamo in un paese vecchio, sia anagraficamente che per la lentezza nell’attuare cambiamenti, tutto ciò che è nuovo, non canonico, ci mette paura e viene combattuto con forza, tutto per la paura di dover uscire dalla comfort-zone che ci siamo creati. II mondo del vino è ancora molto tradizionalista, spesso nella produzione ma ancora più spesso nella vendita e nella testa di enotecari e ristoratori e, ancora più grave, in gran parte della critica che rimane ancorata a un sistema di priorità di vitigni e territori legata ad una tradizione spesso mitizzata. 

Per lavoro (quello vero) mi trovo spesso a viaggiare all’estero e ovviamente mi piace andare in giro per enoteche, ristoranti e amenità del genere. La percezione dell’Italia enoica all’estero è molto diversa da quella che pensiamo, gli avventori bevono con tanta curiosità cose diverse, rivolgendosi a mercati emergenti e a vitigni con caratteristiche particolari. I bianchi li vogliono molto profumati, e possibilmente ben caratterizzati, quindi sauvignon, viognier, riesling, gewürztraminer e chardonnay (che mi dicono in calo soprattutto fuori pasto ma che rappresenta la vendita più cospicua dei vini). 

Per noi italiani sfatare il mito del vino che si beve principalmente a tavola è impossibile ma all’estero è una cosa molto comune, soprattutto nei maggiori Paesi importatori di vino italiano che sono anglosassoni. Il panorama dei vini bianchi internazionali con le caratteristiche dette, di riconoscibilità, profumati, di buona acidità e senza gradazioni elevatissime è piuttosto ristretto come abbiamo appena ricordato. In questa ricerca del nuovo, con quelle caratteristiche, c’è posto per l’Italia bianchista? Ricordava Cernilli, in un editoriale di qualche tempo fa, che non siamo percepiti come un paese da bianchi all’estero; per ora vero, ma ritengo che sia un problema di tipo di approccio e di tipo di vini proposti. Non usandoli a tavola, i nostri vini bianchi classici hanno difficoltà in quanto non propongono le caratteristiche richieste dal mercato. Ma la recente rivoluzione tecnica e il recupero di alcuni vitigni ci permettono di entrare in queste richieste di mercato molto bene. Ritengo che i vitigni migliori per questa missione siano i seguenti, e certamente ne salto qualcuno. Il grillo nelle sue versioni più spinte sulla parte tiolica, il grechetto sul quale si può lavorare un po’ sul versante fenolico, ma funziona molto bene sugli appetizer grazie a questa caratteristica, il trebbiano spoletino, il vermentino sempre nelle versioni più fresche e poco tradizionali, il pecorino, grande vitigno tra Marche ed Abruzzo ancora molto sottovalutato. Tralasciando il moscato che vinificato secco ed evitando deviazione amarognole è di grande soddisfazione grazie alla sua aromaticità terpenica.

Sul fronte dei rossi il problema è più ampio: il mercato, oltre ai mostri sacri - Brunello di Montalcino, Barolo, Amarone della Valpolicella, il fenomeno Etna - stenta a pagare alti prezzi per altre denominazioni anche storiche ma che evidentemente si sono perse per strada sul piano della marginalità media sul prodotto. Inutile strombazzare in giro la propria storia, alcuni vini famosi della zona, che guarda caso sono Igt, se poi sul mercato non vai oltre i 3 euro a litro. Ovvio non si può abbandonare la tradizione e certi vitigni che sono la nostra storia, ma recuperare vitigni magari dimenticati può essere corroborante e un buon ponte verso un futuro migliore ed economicamente più redditivo per alcuni territori. 

Che vitigni rossi abbiamo che sono profumati, non troppo tannici, o almeno dal tannino gestibile e che non siano super concentrati? Beh, girando per l’Italia se ne incontrano ed è la nostra ricchezza. Erano e sono vitigni poco produttivi, magari che si ammalavano facilmente e bisognosi di grandi attenzioni in vinificazione, quindi poco consoni alla nostra vecchia viticoltura, ma ora che si beve in maniera prettamente edonistica, devono e possono riprendere vita. All’inizio le quantità saranno piccole, ovviamente, ma prima ancora della massa critica necessaria per impattare i mercati, quello che mi deprime è quanto ho sentito dire da un bravo ristoratore romagnolo: “Quel vitigno mi piace ma non so come abbinarlo e non lo compro”. Classica mentalità da scaldavivande e non da ristoratore, se hai un vitigno fantastico il piatto lo inventi con nuove idee invece di fare solo i piatti di tua nonna. Ora supponiamo che tu sia in una zona abbastanza conosciuta e in grande crescita in Italia e fai sangiovese. A quanto mai lo potrai vendere? Anche se sei bravo purtroppo i buyer ti ghettizzeranno in una fascia di prezzo dettata da denominazioni più famose della tua che usano lo stesso vitigno. 

Quindi l’utilizzo di un vitigno autoctono, con le caratteristiche richieste dal mercato estero, permette anche di smarcarsi da certe logiche deprezzanti, e di posizionare il nuovo vino adeguatamente. Una bella possibilità da sfruttare. I vitigni li abbiamo, con profumi variegati ma molto interessanti e una grande bevibilità, quindi vini ideali per il pubblico estero ma anche per i giovani italiani. Nella Guida essenziale quest’anno per la prima volta abbiamo premiato due vitigni che hanno queste caratteristiche perché hanno raggiunto una bella maturità stilistica e uno storico interessante, sono vini e vitigni che dimostrano anche una longevità inaspettata ed è stata una bella sorpresa. Mi riferisco al frappato in Sicilia e al centesimino in Romagna, ma lo stesso discorso vale per la lacrima di Morro d’Alba (profumatissima), per la vernaccia di Serrapetrona (vinificata fresca, in barba alla tradizione, molto speziata), per lo schioppettino della zona di Prepotto (molto pepato), la freisa di Chieri e il ruché. Il problema è che la buona qualità non è ancora molto diffusa e questi vini sono poco conosciuti e spesso bistrattati dalla critica nazionale conservatrice. Ma per me lavorandoci daranno grandi soddisfazioni nel futuro prossimo.

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